17 ragazze (2012) di Delphine e Muriel Coulin

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Il film si ispira a un fatto reale, avvenuto nel 2003 in un liceo di Gloucester, nel Massachusetts, a pochi chilometri dalla Salem dei tremendi processi alle “streghe” a fine Seicento, evento in seguito conosciuto come “le ex vergini di Salem”. Qui la storia è invece trasportata al di là dell’oceano, in una cittadina francese a ridotto dell’oceano, dove le spiagge sono fredde e sterminate e la vita sembra molto meno movimentata e fiorente di prospettive. Qui, una ragazza di 16 anni, Camille, scopre di essere incinta; non si saprà chi è il padre del bambino, anche se qualcosa sembra indicare che sia l’ex fidanzato della ragazza. Inizialmente indecisa su cosa fare del bambino, Camille decide di tenerlo e di confessare tutto a sua madre, una donna molto impegnata nel lavoro ma molto poco nella famiglia, con un marito che non si vede mai e di cui neanche si parla e un altro figlio militare in Afghanistan. Dura e decisa, Camille è la figura dominante del suo gruppo di amiche, compagne di scuola e sedicenni come molte altre, dalla sigaretta perennemente in bocca e la bottiglia di birra sempre accanto. Quando Florence, più bruttina e decisamente poco accettata dal gruppo, rivela che anche lei sta portando avanti una gravidanza, il gruppo inizia a farsi domande: è sbagliato rivendicare la proprietà del proprio corpo? Gli adulti sono davvero in grado di dire cosa è giusto e cosa è sbagliato? Su quest’onda, le amiche di Camille si fanno trascinare in questa folle idea: rimanere incinte anche loro, così da essere tutte alla pari, potersi aiutare a vicenda, potersi rendere indipendente e, soprattutto, restare sempre insieme!

Essere incinte insieme: saremo libere, felici, autonome. E tutti ci rispetterebbero

Ecco quindi che la serata si svolge ad una festa, dove ogni ragazza punta il favorito con cui concepire; solo una ragazza si tira indietro nel folle progetto, mentre la piccola Clementine si accorge di quanto è brutto a volte essere così minuta da sembrare una bambina; solo pagando, potrà fare ciò che fanno le sue amiche. In poco tempo, tra l’imbarazzo dei professori e la rabbia dei genitori, la nuova moda dilaga, e 17 ragazze della scuola rimangono incinte. Il film mostra queste ragazze esibire fiere il loro pancione, tra ecografie, liti coi genitori, rifugi improvvisati nelle roulotte dove le ragazze si rifugiano per continuare a stare insieme, bugie e fotografi della scuola imbarazzati da quello che comparirà nelle foto ufficiali dell’anno scolastico. Finché le ragazze non arrivano ormai al termine della loro gravidanza…

            Il caso da cui il film è stato tratto ha suscitato non poco scalpore, e così anche la pellicola. Nel momento storico-sociale in cui la donna riflette sulla gravidanza e in cui il primo figlio viene rimandato sempre più avanti negli anni, vengono mostrate delle 16enni che, in qualche modo, rivendicano la proprietà del proprio corpo e della propria femminilità, nonché il diritto di usarlo ed esprimerlo secondo i loro desideri: chi lo fa un po’ per caso e un po’ per sfida, come Camille, che sembra rifiutare tutto e tutti, a cominciare dal “sistema” del mondo degli adulti, senza futuro e senza prospettive, legata solamente al gruppo di amiche e al fratello maggiore, notevolmente più maturo di lei anche se, per alcuni aspetti, ugualmente scavezzacollo. Altre, come le amiche, lo fanno per imitazione, per sentirsi uguali e ugualmente donne, nella ricerca di un’identità e di un futuro che a quell’età è difficile trovare. Altre, come Florence, lo fanno semplicemente per essere accettate dal gruppo; ancora, Clementine lo fa come modo per sentirsi grande, nonostante genitori e ragazzi la ritengano una bambina, e i medici la mettano in guardia su quanto sia troppo minuta per portare avanti una gravidanza.

Senza toni di moralità o giudizio, i due registi ci raccontano la loro storia, dipingendo dietro il paravento della gravidanza un aspetto dell’adolescenza che possiamo ritrovare in qualsiasi realtà moderna, soprattutto in un delicato momento storico come quello che stiamo vivendo in questi ultimi anni. Qual è il posto per delle sedicenni sognanti in questo mondo? Qual è la prospettiva che gli adulti costruiscono per loro? A cosa sono disposte pur di sfuggire a un mondo statico e senza futuro? L’ambientazione scelta dai registi è forse quella che, più delle parole, esprime questo disagio giovanile: una spiaggia sterminata e ventosa, completamente vuota se non per i corpi gravidi e infreddoliti della ragazze, in cui le coccinelle si trovano a migrare e in cui sicuramente troveranno la morte. La piazza della città, con una giostra che gira perennemente su se stessa, nelle due scene forse più significative del film: una nella prima parte del film, dove le ragazze stanno sedute a rimirare i propri cellulari senza parlare, finché Camille non propone di fare qualcosa per sfuggire a quella noia infinita; e quella finale, dove si riflette su cosa tutto quello che ha accaduto ha portato nel loro mondo e in quello che lo circonda. Nel mezzo, alcune scene completamente senza audio ritraggono le varie ragazze nell’atto di riflettere sulle loro azioni; prima, senza pancione, inquadrate sole e pensose nelle loro stanze decisamente spoglie e silenziose, poi ad accarezzarsi il ventre nel pensiero di ciò che accadrà alla fine di tutto. Solo a volte, qualche peluche fa capolino nelle loro stanze, a ricordar loro quanto sia sottile a sedici anni il confine tra l’essere adulte e l’essere bambine. Come nelle foto che il fratello di Camille le invia dall’Afghanistan, dove la scimmietta Pippi, il suo peluche preferito di quando era bambina, osserva un Paese colpito dalla guerra o punta un fucile verso qualcuno che “non ha fatto niente di male”.

Alla fine del film, è difficile essere giudicanti e puntare il dito contro la decisione delle protagoniste di sfidare gli adulti e le istituzioni offrendo in sacrificio il proprio corpo e il proprio avvenire. È molto più facile riflettere su quanto effettivamente il mondo abbia loro da offrire, su quello che loro cerchino, su quanto sia facile a quell’età lasciarsi trascinare dalle amicizie e dai modelli per sfuggire a una noia perenne e a un futuro senza prospettive. Quello dei registi non è un messaggio giudicante, ma semplicemente un dipinto di un evento e di una società; una società in cui è importante il confronto tra generazioni che sia costruttivo e non accusatorio. Forse il momento più chiaro, in questo senso, è il colloquio tra Camille e l’infermiera della scuola: quando Camille viene convocata per parlare della gravidanza e dell’influenza che lei ha sulle altre ragazze, il discorso scivola presto sulla società e sull’inutilità del suo gesto, a detta della donna stupido e sconsiderato. E le battute della ragazza, di tutta risposta, sono chiare e sicure quanto colei che le pronuncia:

ho fatto bene a venire qui, se prima avevo qualche dubbio ora sono sicura!

Se guardato in quest’ottica, senza né accusare né giustificare, il film concede uno spazio di riflessione tutt’altro che banale. Porta infatti a interrogarsi sulla moralità del gesto e sulle accuse che possono essergli mosse. Porta a ragionare su quello che è possibile fare perché tutto questo possa non avvenire più. Porta a ragionare sulla libertà e su ciò che si può dare alle nuove generazioni. Porta, infine, a rivivere quegli anni e a ricordare quanto si possa essere fragili e, in ultima analisi, sconsiderati quando si hanno solo 16 anni!

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