Covid: gli adolescenti e la scomparsa dei riti di passaggio
La nostra vita è scandita da una serie continua di fasi, di “tappe”. Iniziano nel momento in cui nasciamo ci accompagnano per tutti i nostri anni a venire. Molti autori, dagli anni ’50 del secolo scorso, hanno proposto la loro personale suddivisione: quasi tutti sottolineano la divisione in infanzia, adolescenza, età adulta, vita di coppia, coppia con figli, nido vuoto, pensionamento e infine morte. Ognuno di queste suddivisioni differisce poi dalle altre, ma il punto comune è il fatto che queste tappe vengono attraversate più o meno da chiunque, prima o dopo, salvo alcune eccezioni. Un’altra cosa da sottolineare è il fatto che la divisione in fasi dipende anche dal momento storico. Ad esempio, Eugenio Scabini, una delle più grandi studiose al mondo del ciclo di vita familiare, nei primi anni del 2000 sottolineava la presenza di una fase, la coppia con i figli giovani adulti, che tendeva a prolungarsi sempre di più col passare del tempo; in altre parole, sottolineava l’autrice, rispetto ai decenni scorsi i figli uscivano di casa sempre più tardi. Questo era dovuto al prolungamento dell’iter universitario, all’inserimento tardivo nel mondo del lavoro, a politiche economiche che rendevano difficili creare una famiglia.
Il punto nodale è che la maggior parte di noi attraversa diverse fasi nel corso della sua vita; inoltre, molte di queste tappe sono accompagnate dai cosiddetti “riti di passaggio”; si tratta di usanze, tipiche di ogni cultura, che servono a celebrare pubblicamente un cambiamento in una persona, una famiglia o una comunità. Pensiamo alla cerimonia di matrimonio, che ha lo scopo di rendere ufficiale la nascita di una nuova coppia; altri esempi possono essere il battesimo, il bar mitzvah ebraico, il funerale, la festa di compleanno, la consegna dei diplomi. Si tratta di eventi che servono a far accogliere pubblicamente qualcosa che è accaduto, qualcosa che è significativo per la vita delle persone. Spesso queste cerimonie aiutano l’individuo anche nell’elaborazione di un sentimento importante: pensiamo per un attimo cosa vorrebbe dire non poter assistere al funerale di un caro parente: probabilmente passeremmo gran parte del tempo seguente rimarcandoci di non averlo potuto salutare come si deve e ci mancherebbe ancora di più.
Stamattina ho visto in Rete una vignetta, chiaramente umoristica, che rappresentava una persona triste con addosso un cappello da festa; la didascalia diceva “tutti quelli che nel 2020 hanno fatto il diciottesimo in quarantena e anche nel 2021 festeggiano così il compleanno”. Questa immagine mi ha fatto riflettere proprio sull’importanza che hanno i rituali e le cerimonie nella nostra vita. Ho poi pensato che dall’inizio della pandemia di Covid ci stiamo perdendo molti di questi riti. Alcuni di essi si possono rimandare, ad esempio i matrimoni, mentre altri possono essere celebrati in privato, tipo i funerali, ma gli altri? Le feste di compleanno, che testimoniano a noi stessi e alle persone importanti che stiamo crescendo e invecchiando? Pensiamo poi ai bambini e ancora di più agli adolescenti, che hanno bisogno di festeggiare con i loro pari le varie tappe della loro costante lotta per l’indipendenza e il raggiungimento dell’età adulta; prima della pandemia, spesso questo avveniva con feste sontuose, i “diciottesimi”. Lavorando con gli adolescenti, spesso mi raccontavano che quel weekend sarebbero andati a una di queste feste, in cui poi spesso non conoscevano nemmeno bene il festeggiato Tuttavia, essendo un diciottesimo bisognava andarci, perché era una tappa fondamentale: l’addio all’infanzia e all’adolescenza (secondo chi festeggiava), il raggiungimento del grado di “grande”, di “adulto”, di “maturo”.
Che ne è ora di questi rituali? Cosa sentono i ragazzi, che non possono celebrare il loro passaggio pubblicamente con i loro pari?
Potrebbe essere che, consci della situazione di emergenza che viviamo, si accontentino dei messaggi degli amici, degli aperitivi via Skype, delle videochiamate. Ancora più probabile, potrebbe mancare un piccolo pezzo nella loro storia recente, quello che noi spesso chiamiamo il “patentino”: si tratta di un messaggio metaforico che il mondo esterno ci manda per dirci che siamo diventati adulti. La grande festa per i 18 anni, le chiavi della macchina che il padre ci lascia sul tavolo appena prendiamo la patente, la mamma che ci lascia dormire fuori senza fare storie come faceva prima. La cerimonia dei 18 serviva anche a questo, a dire al mondo “ora sono grande!”. Senza quella cerimonia, i ragazzi di questi anni si dovranno in qualche modo guadagnare quel messaggio. Uno dei compiti per noi adulti, e cercare di riuscire a mandarlo a loro. Nonostante tutto. Perché per loro, per tutti noi, è molto importante per diventare adulti, sentirci adulti, imparare ad esserlo.