LA TERAPIA DELLA FAMIGLIA
La terapia familiare è una disciplina a cui non è semplice dare una soddisfazione univoca; ogni autore è perfettamente in grado di darne una definizione ugualmente soddisfacente, ma trovarne una che le comprenda tutte risulta molto complicato. Tale difficoltà nasce dal fatto che essa deriva da un modello policentrico: alla sua nascita e maturazione hanno infatti ricevuto apporti da varia discipline, dalla psicoanalisi al cognitivismo, alla teoria della comunicazione, alla cibernetica. Ha più padri fondatori e, al suo interno, un numero non indifferente di modelli teorici e clinici per il trattamento.
Cercando di essere più esaustivi possibile, possiamo dire che la terapia della famiglia è l’insieme di tutti i modelli di intervento che in qualche modo di pongono come obiettivo (sia pure seguendo teorie, prassi e tecniche diverse) la cura (nel duplice senso di curare e di prendersi cura) di famiglie piuttosto che di individui, lavorando sulle loro interazioni.
Dopo decenni di storia e di formazione, la terapia della famiglia ha raggiunto un suo riconoscimento e una sua piena dignità a livello professionale; i suoi confini sono ben stabiliti, pur mantenendo legami con altre discipline.
La terapia della famiglia inizia a vedere la luce negli anni ’50 del secolo scorso, anche se già nella fine dell’’800 stavano prendendo piede quegli eventi che avrebbero alla sua nascita: parliamo in questo caso del grande sviluppo della psichiatria, che a sua volta sentiva l’influenza dell’antropologia culturale; la nascita della psicoanalisi e la sua incredibile influenza nel panorama culturale mondiale; una nuova visione della malattia mentale, considerata adesso molto più vicina alla salute psichica e quindi totalmente rivalutata anche dal punto di vista del trattamento; il secondo conflitto mondiale, che produsse enormi conseguenze anche psicologiche, ad esempio per quanto riguarda il problema dei reduci, degli immigrati e dei sopravvissuti, nonché lo spostamento dall’Europa agli Stati Uniti del cuore pulsante della disciplina psicologica, trasportata nel Nuovo Continente da un gran numero di studiosi in fuga dalle persecuzioni razziali.
La nascita ufficiale della terapia familiare può essere arbitrariamente collocata alla fine della seconda guerra mondiale, quando prendono vita i primi calcolatori e le prime riflessioni sul rapporto uomo-macchina (la cosiddetta cibernetica), che porteranno negli anni successivi a una vera e propria rivoluzione del pensiero scientifico. Fondamentali in questo senso sono gli studi di Ludwig von Bertalanffy, biologo austriaco, e di Gregory Bateson, che con la moglie Margareth Mead dedicò gran parte della sua vita all’antropologia, alla psichiatria, alla psicologia e a molto altro, proponendo alcune delle più interessanti teorie di quegli anni. È questo il periodo in cui esplodono le prime e più grandi teorie sul funzionamento della famiglia: si va dalle terapie strategiche (Milton Erikson), alle terapie esperienziali (Carl Whitaker) alle terapie sistemiche (Don Jackson). Lo sviluppo più interessante è stato quello sistemico-relazionale, che ha visto ufficialmente la luce nel settembre 1958 con il Mental Research Istitute (MRI) di Palo Alto, in California. Il gruppo è eterogeneo, formato dall’ antropologo e cibernetico Gregory Bateson, il cibernetico Paul Watzlawick, lo psicologo Jay Haley e un consistente numero di psichiatri. Il lavoro del team consiste nel formalizzare gli ultimi sviluppi della teoria cibernetica e trasferirli all’interno del contesto familiare, iniziando a concepire l’individuo come portatore di un sintomo del sistema famiglia. Il passo successivo è tutto italiano, grazie al contributo di Mara Selvini Palazzoli, una psichiatra italiana che scopre il lavoro di Watzlawick e fonda la Scuola di Milano insieme a Luigi Boscolo, Gianfranco Cecchin e Giuliana Prata. La risonanza del loro lavoro, esplicitato nel libro “Paradosso e controparadosso”, nel mondo culturale è straordinario. Quando negli anni ’80 la legge 180 chiude i manicomi, è l’approccio sistemico ad offrire nuove opportunità per quegli psichiatri che avevano perso il loro ruolo ed il loro potere.
Alle soglie del nuovo millennio, benché il Gruppo di Milano si sia sciolto e i maggiori esponenti del MRI siano deceduti, l’influenza del pensiero sistemico è ancora enorme e gli sviluppi successivi non si fanno attendere. Gli eventi socio-culturali e il cambiamento delle dinamiche familiari, così come del pensiero psicologico, portano gli studiosi ad affinare sempre di più le loro tecniche, alla ricerca di un modello univoco di teorizzazione e trattamento del disagio individuale e familiare.
La psicologia è una scienza molto giovane, poco più di 100 anni di vita, e la psicologia della famiglia lo è ancora di più. Se il MRI ha rappresentato la sua adolescenza, ora sta entrando nell’”età matura”, in cui è facile aspettarsi nuovi interessanti sviluppi. La rassegna di contributi del nuovo millennio sono numerosi, troppo numerosi per essere citati in questa sede. Possiamo solo sottolineare la ricchezza e la complessità di una visione della realtà e, in particolare, del disagio psicologico, che fa sentire la sua voce da decenni e, ne siamo certi, potrà tutt’altro che zittirsi!